Diario divulgativo: relazioni, comunicazione interpersonale, counseling, analisi transazionale e tutto ciò che può essere utile per migliorarsi la vita
04 novembre 2006
Due metà o due interi?
Da dove nasce l'abitudine di chiamare il partner "la mia (dolce) metà"? Dobbiamo fare un tuffo nel tempo e nello spazio. Andiamo nell'Antica Grecia del IV secolo a.C.: nel "Simposio" di Platone, prende la parola anche il commediografo Aristofane che dà la sua opinione sull'amore narrando un mito. Un tempo - egli dice - gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v'era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all'antica perfezione.
Effettivamente la ricerca del partner avviene partendo dalla necessità di qualcuno che "ci completa", dandoci qualcosa che ci manca. E questo è vero anche caratterialmente: è un'esperienza comune conoscere coppie formate da un partner pasticcione ed uno ordinato, da un parsiomonioso e uno spendaccione, un timido e un decisionista... Sembra quasi che cerchiamo un "equilibrio" attraverso qualcuno che abbia qualcosa di opposto e complementare al nostro modo di essere (almeno in parte). Ma allora perché questa diversità diventa poi l'occasione di continui scontri? Da innamorati, il nostro partner ci aveva affascinati con la sua giocosità, passato del tempo lo rimproveriamo di essere "il solito bambinone irresponsabile". Avevamo ammirato la sua riservatezza, che ora giudichiamo come una pesante fuga dalla socialità. Avevamo fatto colpo per la nostra dolcezza e siamo accusati di sdolcinatezza, ammaliavamo con la nostra sicurezza che ora ci viene rinfacciata come insensibilità. Cosa è successo?
Una risposta a cavallo tra psicologia e filosofia ci suggerisce che non abbiamo saputo superare quella complementarietà iniziale. Una complementarietà che è stata la molla del trovarsi, ma che non può essere l'ossatura del percorso di vita a due. Può diventarlo solo se ognuno è capace di imparare dall'altro un po' del suo modo di essere. La tua diversità non "mi appaga" e basta, ma è un continuo stimolo a crescere. In questo modo non ti amo solo perché ho bisogno di te, "perché mi completi", ma perché grazie a te imparo ad essere diverso, imparo ad uscire dai miei schemi comportamentali e a scoprire nuove possibilità dell'esistenza. E questo reciprocamente.
Una coppia duratura può anche essere quella delle due metà che si incastrano. Una coppia matura, invece, è fatta da due metà che si aiutano reciprocamente a diventare "due interi".
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5 commenti:
Caro cugino, rispondo sempre con piacere alle tue sollecitazioni. Il tema della dolce metà mi ha sempre molto interessato. Che poi mi chiedo: ma se io non sono una metà, ma un, diciamo, 15 per cento, di quante persone ho bisogno per completarmi? Ma, se ho capito bene il tuo messaggio, questo mito delle due metà è fuorviante; e son d'accordo con te: più costruttivo è pensare che ognuno di per sè sia già intero, potenzialmente e in divenire, e il partner dovrebbe aiutare a raggiungere l'interezza, diciamo l'auto interezza. Ora però posso lasciarti con una poesia che scrissi oramai quattro anni fa? (ma sempre valida). Se trovi sconveniente che io posti queste cose sul tuo blog, bloggami, cioè bloccami. La poesia si intitola: Amor profano alle due di notte:
Esiste l’anima gemella,
esiste la donna ideale.
Esiste la metà mancante della mela,
lei che inizia dove tu finisci,
lei che ti conosce
e lei che ti capisce.
Esiste la donna con cui mai sei stanco,
lei che lontana ti è sempre accanto,
lei che ami senza mai sosta,
lei che senza sosta sempre ti ama.
Vedi quante ne esistono?
Alla prossima.
Vedi tu se avvisarmi al prossimo aggiornamento. Ciao grande cugino.
Ahhh... ma qui vedo che i toni dei commenti, così come quelli degli argomenti, sono parecchio profondi!
Bèh, siccome non voglio sfigurare d'innanzi a cotal fattura dei vostri interventi.. caro fratello ti saluto e tolgo il disturbo ;-)
Tuo fratello (quello poco poetico)
P.S. ...Bello il blog prometto che qualche post un po'più serio...
sono pienamente daccordo con la tua riflessione.
tuttavia volevo segnalarti l'esistenza anche del caso opposto, vale a dire la possibilità (spesso amplificata da una certa "letteratura" metropolitana in perfetto stile harmony) che le persone si prendano perchè si assomigliano o perchè riscontrano desideri, passioni, ideali, persino hobbies comuni. anche in questo caso potrebbero esserci sentori di autoreferenzialità e, in qualche modo, autoerotismo. credo, quindi, che al di la della eterogeneità o meno degli elementi che compongano una coppia, ciò che faccia la differenza a livello qualitativo nella vita di una coppia (e anche nella singola vita dell'individuo che poi la compone) sia la capacità di staccarsi da un modello identitario e di affermazione del sè statico ad uno dinamico-relazionale ed abbia cioè la forza e la capacità di redifinirsi continuamente con le persone che ha accanto.
complimenti per il blog
sacher
Ho letto post e relativi commenti, tutti latori di punti di vista interessanti. Devo dire che ho qualche difficoltà a muovermi nello spessore degli stessi. Aiuto! Non vorrei dover essere io ad abbassare il livello di cotanta discussione. Scusatemi in anticipo ma nn sono un'addetta ai lavori! Francesco mi interesserebbe sapere che cosa ne pensi delle relazioni simbiotiche complementari schema: vittima-persecutore. Nello specifico mi piacerebbe sapere se credi che le stesse possano essere durature e meno distruttive se i ruoli rispettivamente della vittima e del persecutore si intercambiano nella coppia. Ciao.
grazie, bele parole che oggi sintetizzano i miei pensieri
un saluto, sil
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