26 novembre 2006

L'import-export della convivialità

Incontrarsi, parlare di sé, raccontare le proprie esperienze e ascoltare quelle degli altri. Magari attorno ad una tavola, dove, tra un boccone ed un bicchiere, si cementano vecchie amicizie e se ne creano di nuove. Un'attività bellissima dell'uomo, per me il valore più alto, che ho la fortuna di coltivare ancora ma che non è così "scontato".
Ho avuto il privilegio di crescere in una famiglia "grande" del sud. Venuto "al nord" ho avuto la possibilità di incontrare tanti nuovi amici, ma ho anche sperimentato la difficoltà di un calore umano vissuto come "invadenza". Come far capire a queste persone che avere 260 invitati al proprio matrimonio non è un gesto di megalomania ma di condivisione, di festa allargata? Al di là dei facili luoghi comuni (secondo cui meridionale=espansivo e settentrionale=riservato), mi chiedo: ma non è che oltre ad esportare forza lavoro, il meridione continua ad esportare al nord anche delle "energie sociali"?
Sulla scia di questi pensieri mi imbatto in un amico di amici (meravaiglie della convivialità) che, a quanto pare la pensa come me. Un pescarese, anche lui a Milano per lavoro, che un bel giorno decide di prendere un tavolino e due sedie, di portarle nella centralissima Piazza S. Babila e di offrire "Due chiacchiere gratis", a chi vuole parlare un po'. Riscoprire i contatti umani, la forza dell'incontro, la qualità delle relazioni. Non vanno idealizzate, per carità: sono molto faticose da gestire con cordialità sincera e duratura. Ma c'è qualcosa di più "significativo"?

15 novembre 2006

313 GRAZIE

313 è il famosissimo numero di targa dell'auto di Paperino. Ma questo numero per me da oggi ha un altro significato. E' passato un mese dall'apertura di questo blog e 313 è il numero di visite che ho ricevuto. Cosa c'è dietro questo numero (notevole, direi)? C'è una rete di persone che è il frutto di tanti anni di incontri, esperienze, amicizie. In questo mese ho potuto riflettere veramente sul significato di "rete sociale" che onuno di noi si porta appresso. Siamo un "nodo" di un tessuto ricchissimo, di cui percepisco sempre di più il valore. Mi è capitato anche di conoscere la fatica del "mantenimento" di questa rete che, per essere coltivata ha bisogno di energie e tempo. Tempo ed energie che però non sono sprecate, ma che ritornano indietro in tempo ed energie che gli altri hanno regalato a me. E' un dono reciproco.
Grazie alla "rete informatica", sto sperimentando un modo nuovo di coltivare la "rete umana", voglio perciò dire GRAZIE a tutti voi che mi siete venuti a trovare, a chi mi ha risposto con un post, a chi mi ha scritto via email, a chi mi ha solo letto dedicandomi un ricordo. Magari siete persone che non vedo da tanto, ma che mi vengono a trovare spesso on line per condividere un pensiero. E grazie anche a chi non conosco di persona ma si è imbattuto in questo blog dedicando un po' del suo tempo e dei suoi pensieri.
Ci vediamo al prossimo post: a presto!

04 novembre 2006

Due metà o due interi?


Da dove nasce l'abitudine di chiamare il partner "la mia (dolce) metà"? Dobbiamo fare un tuffo nel tempo e nello spazio. Andiamo nell'Antica Grecia del IV secolo a.C.: nel "Simposio" di Platone, prende la parola anche il commediografo Aristofane che dà la sua opinione sull'amore narrando un mito. Un tempo - egli dice - gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v'era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all'antica perfezione.
Effettivamente la ricerca del partner avviene partendo dalla necessità di qualcuno che "ci completa", dandoci qualcosa che ci manca. E questo è vero anche caratterialmente: è un'esperienza comune conoscere coppie formate da un partner pasticcione ed uno ordinato, da un parsiomonioso e uno spendaccione, un timido e un decisionista... Sembra quasi che cerchiamo un "equilibrio" attraverso qualcuno che abbia qualcosa di opposto e complementare al nostro modo di essere (almeno in parte). Ma allora perché questa diversità diventa poi l'occasione di continui scontri? Da innamorati, il nostro partner ci aveva affascinati con la sua giocosità, passato del tempo lo rimproveriamo di essere "il solito bambinone irresponsabile". Avevamo ammirato la sua riservatezza, che ora giudichiamo come una pesante fuga dalla socialità. Avevamo fatto colpo per la nostra dolcezza e siamo accusati di sdolcinatezza, ammaliavamo con la nostra sicurezza che ora ci viene rinfacciata come insensibilità. Cosa è successo?
Una risposta a cavallo tra psicologia e filosofia ci suggerisce che non abbiamo saputo superare quella complementarietà iniziale. Una complementarietà che è stata la molla del trovarsi, ma che non può essere l'ossatura del percorso di vita a due. Può diventarlo solo se ognuno è capace di imparare dall'altro un po' del suo modo di essere. La tua diversità non "mi appaga" e basta, ma è un continuo stimolo a crescere. In questo modo non ti amo solo perché ho bisogno di te, "perché mi completi", ma perché grazie a te imparo ad essere diverso, imparo ad uscire dai miei schemi comportamentali e a scoprire nuove possibilità dell'esistenza. E questo reciprocamente.
Una coppia duratura può anche essere quella delle due metà che si incastrano. Una coppia matura, invece, è fatta da due metà che si aiutano reciprocamente a diventare "due interi".