16 giugno 2008

Scuola, Adolescenti & Co.

Ho concluso da poco una bella collaborazione con un IPSIA nel Salento. Si è trattato di un percorso sulla motivazione all'apprendimento e le metodologie di studio, portato avanti con un gruppo di ragazzi di primo e secondo superiore. Sono contento di come sia andato, anche se non è stato facile: il confronto con gli adolescenti mi ha messo in discussione, era un po' che non lavoravo a stretto contatto con loro per un periodo così lungo (un mese e mezzo). Giunto al termine di questo percorso, sento il bsogno di mettere nero su bianco alcune riflessioni e di condividerle attraverso questo spazio.
All'inizio, ho avuto timore. Avevo lavorato in passato con adolescenti, nei gruppi giovanili parrocchiali mi sono fatto le ossa come animatore/formatore, ma era ormai dieci anni fa (come dire: due generazioni di differenza). Nel frattempo la mia vita è cambiata, mi sono abituato a lavorare per lo più più con gli adulti e nel frattempo ho perso la familiarità con il mondo dei sedicenni, i loro gusti, il loro linguaggio e mentalità. Come sarebbe andata?
Questo timore era inoltre alimentato da un altro filone di pensieri. Negli ultimi anni ho avuto modo di confrontarmi con molti educatori ed insegnanti, sentendo un crescente leit-motiv: "Le nuove generazioni sono ingestibili"; "I ragazzi di oggi non sanno stare in silenzio", ecc. Ascoltando queste frasi (e gli episodi annessi) mi sembrava di scorgervi qualcosa in più della semplice e ritrita scena dell'incomprensione generazionale. In effetti, anche io ho avuto l'impressione che, probabilmente perché sottoposti ad un bombaradamento sensoriale/multimediale molto forte, tra le nuove generazioni ci sia una certa difficoltà alla concentrazione e al silenzio. Mi chiedevo perciò: ce la farò ad essere efficace, a trovare un canale comunicativo adeguato, con questa "I-Pod generation"? Come sarà possibile farsi riconoscere in quanto "adulto significativo" da questi ragazzi?
Al termine del percorso, rielaborando come sono andate le cose, ecco cosa ne ho concluso:
1. Ascolto e cambiamento. Sono riuscito a stringere un buon rapporto con loro e a lavorare bene solo perché, attraverso un continuo esercizio di ascolto ed attenzione, ho rimesso in discussione le mie metodologie e ho ridefinito il percorso ed i linguaggi. I ragazzi mi hanno costretto a non dare nulla per scontato, spiazzandomi continuamente, per cui ho dovuto dare fondo (e mettere in pratica) tutte le mie conoscenze sui processi motivazionali, l'apprendimento, la relazione educativa, ecc.
2. La nudità. Con gli adolescenti, i ruoli istituzionali sembra non funzionino più. Ammesso che mai abbiano funzionato. Con loro i ruoli non funzionano "a monte", la credibilità ai loro occhi non te la dà un'etichetta. per cui il silenzio e l'attenzione non sono condizioni "a monte", ma frutto di un percorso. In realtà io credo che anche nel passato fosse così: ognuno di noi ha conosciuto professori/educatori che valevano e di cui si aveva un rispetto profondo, ed altri che non valevano... ma c'era una formalità maggiore e stavi in silenzio anche con il professore che, sotto sotto, ritenevi insignificante. Ora no. Sono saltate le maschere, nel bene e nel male. Hai guadagnato la fiducia? Ti seguono. Non te la sei guadagnata? Non fanno alcuno sforzo per nascondere quel che pensano, il ruolo non ti difende più, la copertura pietosa che poteva dare l'illusione che tutto andasse sufficientemente bene ("perché stanno in silenzio") non vale più, il re è nudo. E "nudi" allora bisogna andare verso di loro. Cari educatori, maestri, professori, ecc. che si può fare se non c'è più la corazza del ruolo a difenderci? "Essere persone di qualità": se non hai un tuo equilibrio interiore, ti fanno saltare.
3. Tempo, organizzazione, competenze. Quando, mettendoti alla prova attraverso le loro piccole/grandi provocazioni, avranno saggiato la tua tempra, allora seguiranno anche le tue regole. Questo processo è ovviamente lungo, ha bisogno di tempo per costruire relazioni autentiche. E credo che l'attuale organizzazione scolastica contrasti di fatto con tutto questo. Per avere più tempo e maggiore qualità relazionale, ci vogliono classi più piccole con meno professori e maggiore stabilità. Occorre cioè passare dal concetto di classe al concetto di gruppo di apprendimento. E, ovviamente, ci vorrebbero insegnanti con competenze differenti, che conoscano le dinamiche di gruppo, sappiano leggere le relazioni, abbiano una forte consapevolezza di sé... e magari siano seguiti da un counselor...

Grazie a L., M., R., D., i ragazzi che hanno seguito il percorso fino alla fine. Spero di aver dato loro un seme di miglioramento, così come loro lo hanno dato a me.