12 dicembre 2016

Clienti, colleghi, formati, formandi, corsi, soldi, ecc. (qualche riflessione sul mio lavoro)

Osservo molto quello che fanno i miei "colleghi" che lavorano a vario titolo nel variegato mondo della formazione e dell'empowerment: formatori, counselor, coach, qualcosa-terapeuti, psicoesperti vari.
Di alcuni di essi ho grande stima e cerco di ispirarmi a loro. Di molti altri non solo diffido, ma sconsiglio vivamente il ricorso ai loro servizi e mi dispiace per le persone che cascano nelle loro grinfie.
C'è poi una terza categoria che suscita in me emozioni contrastanti.
La prima è l'invidia. Li invidio perché hanno molti più "iscritti/clienti/follower/lettori" di me e questo è veramente un colpo basso al mio narcisismo. Accidenti! ...ed io che speravo di essere il più bravo, ammirato ed irresistibile! Ma come fanno? E del loro conto in banca,... vogliamo parlarne? Grrr... e qui parte la seconda emozione. La seconda emozione è la rabbia. Anzitutto nei confronti dei loro iscritti/clienti/follower/lettori che proprio non si rendono conto di essere presi per i fondelli e che pagano (spesso cifre veramente inspiegabili) per qualcosa che è letteralmente fuffa se non addirittura truffa. Ma alla fine, mi calmo un poco e cerco di ragionare: che cosa è, in realtà, che non accetto? Non sto facendo per caso come la volpe con l'uva? E se fosse la mia invidia a farmi vedere tutto nero? Non sarebbe più onesto mettermi con umiltà ad imparare da chi "ce l'ha fatta" a raggiungere degli obiettivi professionali che, sotto sotto, vorrei fossero miei?
Alla fine delle mie riflessioni, ho individuato delle costanti nell'operato di queste persone. Quasi un "metodo" implicito che me li rende lontani e che provo qui a descrivere.
1. Rivolgiti fondamentalmente a persone che abbiano soldi e che siano sufficientemente ignoranti rispetto alle tematiche che vuoi proporre.
2. Fai leva sui loro bisogni inespressi, sottolineando la loro inadeguatezza e proponendoti come l'unico, originale, nuovo mezzo/soluzione da cui farli dipendere come un santone/guru (nei fatti; a parole puoi sempre affermare che non sei il loro guru).
3. Presentati come IL NUOVO ed UNICO detentore di un sapere assolutamente originale, magari rivestito di termini altisonanti vagamente scientifici (meglio ancora se con una belle etichetta "Marchio registrato" ). Precisazione: devi essere molto bravo a farlo credere attraverso piccoli artifici di comunicazione che fanno leva sull'ignoranza altrui o essere abbastanza esaltato da crederci veramente tu per primo.
4. Evita con cura qualsiasi riferimento alla condizione umana e alla sua concreta, tangibilissima realtà fatta di carne, sangue, sudore e fragilità. Proponiti come un mezzo per raggiungere cose astratte ed inumane quali "perfezione, eccellenza, successo".
5. Evita i distinguo, i dubbi e le sfumature di senso. Poniti come fornitore di ricette e metodi tanto infallibili quanto ready-to-use. Soprattutto, fai leva sull' "io" e sulla sua presunta assoluta onnipotenza (tanto se falliscono o si vanno a sfracellare sarà sempre colpa loro che "non volevano abbastanza"); evita di alimentare qualsiasi riflessione sui meccanismi sociali (unica eccezione: far risultare i legami sociali sempre e solo come inutile zavorra alla propria felicità e realizzazione).

Io mi pongo agli antipodi di tutto questo. Sul piano deontologico e valoriale, la mia azione (e non solo la mia, grazie al cielo!) segue questi criteri:
1. Mi rivolgo a persone che possano sentire un bisogno di crescita o un interesse culturale ad approfondire ciò che propongo al di là della condizione economica/culturale o delle mie esigenze di portafoglio.
2. Cerco di lavorare in un logica di "OKNESS" reciproca: anche se hai bisogno di un mio contributo professionale non è perché tu sia stupido o non valga niente. Il fatto che io (in alcuni ambiti del sapere) possa saperne di più non fa di me una persona "migliore" di te. Tu hai una positività alle spalle, io ti affianco per fartela riscoprire, integrando conoscenze o riorientandole. Voglio che le persone si emancipino realmente e camminino con le proprie gambe, non che dipendano da me.
3. I contenuti del mio lavoro sono solo in minima parte frutto della mia creatività. Sono frutto di intellettuali, filosofi, psicologi, scienziati che hanno condiviso il loro sapere nella maniera più ampia possibile. Non spaccio come mia invenzione ciò che è stato formulato da altri né imbelletto dietro sigle altisonanti (o, peggio, marchi registrati) un sapere che ha radici antiche nella filosofia, nella saggezza popolare, nelle lavoro di grandi scienziati... e ho piacere che le persone possano approfondire anche in altri luoghi e modi, magari attraverso il contatto diretto con le fonti.
4. Il mio contributo è orientato all'equilibrio della persona nelle sue varie dimensioni. Aiutare a raggiungere livelli più alti di performance non è un mio obiettivo professionale perché la performance non è un bene in sé, ma va inserita in una visione globale della persona (talvolta potrebbe essere addirittura portatrice di effetti disastrosi). A me sta a cuore la concretezza delle persone, non l'astrazione disumanizzante o il suo appiattimento monodimensionale.
5. Propongo chiavi di lettura e spunti metodologici (nei quali credo profondamente), che a mio avviso sono "sensati" e potenzialmente efficaci nel sostegno alle persone e alla loro crescita. Ma non detengo la "chiave universale" e stimolo le persone a maturare per quanto possibile un senso critico "abitando il dubbio" e le sfumature. Soprattutto, oriento verso una crescita armonica della persona "dentro" le relazioni, sostenendo la maturazione di relazioni forti per quanto faticose e scoraggiando comode fughe verso il solipsismo.
Su tutto il resto, invece, ho tanto da imparare anche da questi colleghi così lontani dai miei principi, per esempio: chiarezza dei destinatari, capacità di fare rete professionale, finalizzazione degli investimenti, valorizzazione delle proprie competenze, riconoscimento economico del lavoro, efficacia delle iniziative di comunicazione,...
Quindi scusate, ora vado a studiare.