19 ottobre 2017

Fiducia



Nonostante tutto, i bambini si fidano di noi adulti. E non potrebbero fare diversamente.
Ad esempio, non possono controllare che ogni cosa detta dai loro maestri sia vera. Ma compiono un gesto di fiducia rispetto al mondo degli adulti ("Mi raccontano che il nostro corpo è fatto di minuscole cellule... bah! Chi le ha viste mai. Ma se lo dice la maestra,..."). Non possono "credere" alla bontà delle promesse dei loro genitori se non basandosi sul legame affettivo che li lega. Non comprendono il significato di tante parole o concetti astratti ma "si fidano" della nostra voce ("...non ho ho proprio ben compreso tutto, ma... se lo dice papà, qualcosa di vero deve esserci").
A volte, purtroppo, è impossibile non deludere/tradire le aspettative che tale fiducia genera, sia perché il pensiero dei bambini può generare aspettative illusorie, sia perché siamo esseri umani, con limiti, fallibili. Tante altre volte, invece,... tradiamo la fiducia dei piccoli per comodità, per disinteresse, per bassi interessi personali, per calcolo.
Da questo gioco sotteso di fiducia data e tradita, di conferme e delusioni, dipendono la maggior parte dei processi psichici, l'idea che i figli si fanno di sé stessi e dei genitori e, in definitiva, del mondo. Che grande responsabilità che abbiamo!

13 settembre 2017

Cinque cose da fare per Noemi, per le nostre figlie, per i nostri figli

Invocate pene esemplari perché siete sgomenti ed arrabbiati: lo capisco, lo sono anche io.
Maledite il genere maschile perché impauriti: lo capisco, lo sono anch'io, padre di due figlie.
Accusate un "colpevole" sociale (a scelta tra politica, famiglia, scuola, mass-media, religione, tecnologia,...) nel tentativo di identificare una causa logica davanti all'assurda morte di Noemi: vi capisco, la cerco anche io; a volte il mondo fa orrore e vorremmo "coglierne il senso" per cercare in qualche maniera di placare la nostra ansia davanti all'assurdo e al latente pensiero che anche la nostra vita è in balìa della fragilità; e fatti del genere ci risvegliano dall'illusione di esserne al riparo.
Ma scrivere tutto questo sui social sarà solo un palliativo, uno sfogo emotivo che non aiuterà minimamente le vostre figlie a saper distinguere i segnali di un maltrattamento spacciato per amore, né aiuterà i vostri figli a condurre una vita liberata dalla violenza nelle relazioni. E una volta "sfiatata" la pressione, il pentolone emotivo resterà lì a gorgogliare fino al prossimo episodio cruento che ne causerà l'ennesimo futile risveglio.
Superato lo sfogo sui social, vogliamo realmente aiutare i nostri figli a crescere liberi dalla violenza (subita o agita)?
- Smettiamo di usare la violenza in casa. Non facciamo passare che la violenza sia "normale" in quanto familiare e quotidiana.
- Diamo il permesso alle nostre figlie di dire "no", di affermare i propri bisogni e desideri. di immaginarsi donne che scelgono un compagno di vita perché le ami, non perché le domini. Smettiamo di lodarle quando si sottomettono ai desideri altrui.
- Diamo il permesso ai nostri figli di raccontare le proprie emozioni e frustrazioni, usando altri canali espressivi (parola, corpo, arte,...) costruttivi e nonviolenti. Smettiamo di giudicarli "poco virili" quando dimostrano forme di compassione, gentilezza, accortezza.
- Puliamo le nostre parole da ogni riflesso di dominio e superiorità.
- Smettiamo di insegnare ai nostri figli che "il mondo è una guerra dove vince solo il più forte" e che devi essere più lupo degli altri per non essere "fottuto" dagli altri. Sul piano delle relazioni di genere, questa logica è l'anticamera della violenza legittimata.
Questo è l'ABC. Iniziamo a fare anche una sola di queste cose, in memoria di Noemi e di tutte le altre donne maltrattate o violentate o uccise.
Fare anche una sola di queste cose, avrà un impatto sociale più reale e sano di qualunque livoroso e inutile appello alla pena di morte o alla castrazione chimica.
Per stasera basta.
Ora date spazio al silenzio, al rispetto della memoria.


25 maggio 2017

@TTENTI AL #LUPO!

La maggior parte degli incontri di formazione per genitori che mi vengono rivolti negli ultimi tempi sono accomunati da un'unica richiesta e cioè la voglia di comprendere come porsi davanti a "IL" fenomeno sociale per eccellenza con cui le famiglie oggi si trovano a fare i conti: la gestione dei social network e dei dispositivi portatili (smartphone e tablet).
Talvolta si tratta di una richiesta più ampia, si vogliono conoscere le principali dinamiche dei social non solo per esigenze educative, ma anche per sé stessi, visto che sono gli stessi adulti a dovere a propria volta imparare "le regole del gioco" per non venirne sopraffatti (vedi l'uso assolutamente tragico che gli molti adulti fanno di Whatsapp, ben testimoniato dalle famigerate "chat dei genitori di classe"). Altre volte, i dubbi sono concentrati sugli aspetti educativi, spesso sollecitati da episodi di vita reale in cui i propri figli hanno dimostrato di non utilizzare i social network in maniera appropriata; oppure dal clamore mediatico suscitato da episodi di cyberbullismo o da altre notizie di cronaca (catene di Sant'Antonio, giochi macabri,...).
Per rispondere al primo approccio ho collaudato più volte un incontro chiamato "Oh no! Mi hanno messo in un'altra chat! - Consigli di sopravvivenza per genitori digitali".
A breve, invece, toccherà agli aspetti più strettamente pedagogici essere l'oggetto delle riflessioni con i genitori, in un incontro chiamato "@ATTENTI AL #LUPO!" che si terrà martedì 6 giugno alle ore 19.00 presso la Libreria Voltalacarta (via Costantinopoli, 35 - Calimera).
Il mio non è un approccio allarmista o apocalittico: chi si aspetta di ascoltare invettive "controiigiovanidoggisignoramiadoveandremoafinirediquestopasso" rimarrà deluso. Al tempo stesso, ritengo necessario definire un minimo "ABC" dell'educazione in ambito digitale, visto che i rischi esistono, che essere genitori significa anche dare un orientamento costruttivo e che molti papà e mamme di oggi sembrano non accorgersi che alcune loro piccole scelte quotidiane possono avere un grande impatto sulla crescita dei figli (ne cito una per tutte: a che età i nostri figli ricevono in regalo un proprio cellulare personale ed iniziano a frequentare i social network con account propri?).
Per ragionarci insieme, vi aspetto il 6 giugno!

22 marzo 2017

Che ci fai con una pietra?

Lo scorso anno al convegno nazionale di AssoCounseling ho presentato un'esperienza particolarmente importante per la mia storia personale e professionale. L'intervento si chiamava "Che ci fai con una pietra? - Un'esperienza di counseling con un malato di #SLA" e presentava la mia esperienza da counselor con Gaetano, l'ideatore di IO POSSO, esperienza che è andata ben al di là del counseling, coinvolgendomi personalmente in maniera travolgente.
A distanza di un anno, la Rivista Italiana di Counseling, ha pubblicato gli atti del convegno ed è ora possibile leggere QUI anche il mio contributo (numero 4, pp. 96ss.)

18 gennaio 2017

Tutti gli esclusi si somigliano. Ma c'è sempre qualcuno "più escluso" degli altri.


Non è bello sentirsi esclusi, etichettati, emarginati. Fa male sperimentare sulla propria pelle le ferite della vittima.
Ma questo non basta, purtroppo, a riconoscere come fratelli tutti gli altri esclusi, etichettati, emarginati. Essere vittima, non sfocia automaticamente nella solidarietà verso le altre vittime.
E resto incredulo nel vedere quante persone vittime di pregiudizi e discriminazioni a loro volta discriminino ed attacchino qualcun altro sulla base di altri pregiudizi.
Il meridionale che, emigrato al nord, se la prende con i nuovi migranti "che rubano il lavoro a noi del posto".
La donna schiavizzata che alimenta l'odio verso i gay.

Il gay che insulta il barbone.
Il disoccupato che gioisce del fallimento della bottega dei cinesi.

Il ragazzo disabile che si unisce al movimento neonazista e si scaglia contro gli ebrei e tutte quelle categorie di persone con cui avrebbe diviso la tragica sorte se si fosse trovato nei primi anni '40 ad Auschwitz o Birkenau.
Ho provato a ricostruire il monologo interiore di chi la pensa così, e me lo sono immaginato in questo modo:
"Non sono più io lo sfigato! Ce n'è un altro più sfigato di me!
Finalmente ho trovato il modo di smettere di essere vittima:
diventare a mia volta il carnefice di qualcuno".

Insomma, il desiderio di non soffrire porta al sogno di stare finalmente sul carro dei "forti". Diventare, a mia volta, il persecutore di qualcuno mi inebria di un senso di potere, di "rivincita" nei confronti della vita.

Questa scena si svolge sotto il ghigno dei reali Carnefici, contenti di aver trovato il sistema più semplice ed efficace di legittimazione; sicuri che grazie a questa "distrazione", il loro culo resta bel bello al caldo.



"Lascio pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe a capo all'in giù, nella mano di un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. (…) e dava loro di fiere scosse, e faceva sbalzare quelle teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura".
(A. Manzoni, I Promessi sposi, cap. 3).

11 gennaio 2017

Il Circo dello Sdegno (allontanamenti, minori, giudici e giornalisti)

Nelle storie ferite del disagio familiare e minorile ci sono tantissimi ingredienti, risvolti imprevedibili, personaggi con ruoli determinanti e delicati.
C'è il genitore che vorrebbe continuare a dare il (proprio) meglio per i figli e il genitore completamente disinteressato a farlo. Ci puoi trovare l'assistente sociale coscienzioso e l'arruffone incompetente. Puoi trovare una relazione psicologica scritta da un valido professionista o un documento che semplicemente marchia a fuoco la parola "diverso" o "malato" sulla pelle di chi ne pagherà poi le conseguenze. Ci sono giudici capaci e giudici meno capaci o addirittura indegni. Ci sono decisioni difficilissime da prendere: un eventuale allontanamento dai genitori è realmente un bene (o il "male minore") oggi per il figlio o si crea un danno maggiore? Ci sono strutture di accoglienza ottime, che sono una grande occasione di crescita per i ragazzi e strutture-lager che fanno rimpiangere agli ospiti i maltrattamenti che subivano in casa...
Nella maggior parte dei casi trovi comunque le due figure genitoriali in guerra tra di loro con contorno di avvocati più o meno cinici e colpi bassi per far vincere "la propria causa", che non corrisponde generalmente con la tutela e il benessere dei figli (per esempio, fornendo ai giornalisti proprie versioni dei fatti per suscitare clamore mediatico).
In tutto questo caos, dovremmo perciò avere il pudore di prendere molto con le molle le semplificazioni e i racconti giornalistici che danno in pasto all'opinione pubblica il "caso umano" del giorno.
Noi "esterni" non abbiamo nessuno strumento per conoscere le vere storie dietro certi titoloni di giornale, come ad esempio: "Padova: giudice allontana il figlio dalla madre perché troppo effeminato" oppure "Minore ritorna in casa dal padre che la maltrattava". Al Grande Circo dei Media interessa collezionare link e like o produrre "arene" di personaggi pronti a prendere posizioni nette "pro" o "contro", rabbia gratuita, sdegno un tanto al chilo e lacrime facili. Tutto questo caos non fa altro che aumentare il disagio, amplificando il malessere delle persone coinvolte.
Che gliene frega del bene del ragazzo o della famiglia.
E a noi? "Ce ne frega" ancora qualcosa?
Se sì,... pudore e silenzio.
Evitiamo di fomentare il Circo Barnum dello Sdegno