23 febbraio 2007

Tu chiamale, se vuoi,...

...emozioooniiiiii" cantava il Battistone nazionale.
È da un po' di anni che assistiamo ad una rivalutazione del mondo delle emozioni (anche a partire dai libri scritti da Gardner e Goleman). Dopo secoli in cui le emozioni sono state subite o temute, ci siamo accorti che sono un elemento fondamentale dell'esistenza umana. In un certo senso è una riscoperta perché per molti filosofi e per alcune tradizioni culturali non è così: l'uomo saggio sarebbe quello che sa distaccarsi dalle emozioni (o addirittura quello che non ne prova nessuna); lo stesso ideale di perfezione (o di divino) che molti di essi sostengono è a-emotivo (non così il Dio dell'ebraismo, che è un gran passionale). Ora invece ci diciamo che le emozioni sono importanti, che non vanno soffocate ma riconosciute e gestite come una parte importante di noi stessi. Ma, come tutte le cose dimenticate e poi riscoperte, segue spesso una fase di "moda", che banalizza le cose a furia di parlarne.
Resta il fatto che ancora non c'è una cultura matura e diffusa delle emozioni. Faccio un esempio citando una frase che a tutti è capitato di sentir dire da qualche amico: "Il mio difetto è che sono una persona emotiva". Ma che significa? Tutti siamo "emotivi", cioè tutti "proviamo emozioni" così come tutti respiriamo ma nessuno si sognerebbe di dire: "Il mio difetto è che sono una persona troppo respirante". Forse con quella frase vogliamo dire qualcosa di importante (magari "sono molto sensibile" oppure "sono una persona generalmente ansiosa" oppure "reagisco incontrollatamente"), ma non troviamo parole più appropriate per dirlo. E questo è significativo: perché il primo passo per una maturazione emotiva è proprio quello di saper riconoscere il proprio vissuto interiore "dando un nome" a ciò che "ci bolle nel sangue". Da qui si può iniziare poi a gestire le emozioni nella maniera più opportuna, cercando un'armonia con i propri pensieri, ideali ed obiettivi.
Riconoscere le emozioni in gioco è il passaggio chiave per poterne godere e viverle in profondità senza rinunciare ai loro vantaggi e alla loro energia e, al tempo stesso, senza essere “travolti” (noi e gli altri) da forze prima soffocate e poi incontrollate.
Riprendiamoci le emozioni. Gioia, delusione, rabbia, serenità, tristezza, paura,... viverle, riconoscerle, gestirle.
C'è un limite? Personalmente eviterei di "guidare come un pazzo a fari spenti nella notteee..."

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro cugino, mi stuzzichi soprattutto quando dici che non troviamo le parole giuste per descriverci. A questo proposito - forse esco un pò fuori traccia, ma magari sarà uno spunto per una prossima riflessione- l'errore principale nel dire "sono una persona emotiva", ma anche "sono molto sensibile" ecc., sta a mio avviso nel verbo essere. Credo che sia un verbo perfettamente inappropriato a descrivere qualsiasi cosa ci riguardi, a parte poche. Le uniche cose di me per cui posso usare il verbo essere sono: luogo e data di nascita, nome, cognome e figlio di. Per tutto il resto il verbo essere è sempre, a ben guardare, una scorciatoia per non dire qualcosa di più preciso e di più reale, un riassunto approssimativo di mille altri verbi che meglio (ma anche con più fatica, più impegno) ci permetterebbero di capire chi abbiamo di fronte, anche di fronte a uno specchio; comportarsi, reagire, osservare, fare, ripetere, un moto perpetuo che non può risolversi in un "essere". E poi si arriva alla magica stupida frase: sii te stesso, che davvero è come dire: respira. Buona domenica Counselor

Anonimo ha detto...

benvenuto nel posterone!!

Anonimo ha detto...

ciao francesco,
a proposito di emozioni, ti segnalo che lo slogan di una fiera di armi è testualmente "passione ed emozioni". è un poblema semantico (assegnare lo stesso nome a cose fondamentalmente diverse) o semplicemente una triste furbata pubblicitaria?
gian paoo

Anonimo ha detto...

ciao francesco,
a proposito di emozioni, ti segnalo che lo slogan di una fiera di armi è testualmente "passione ed emozioni". è un poblema semantico (assegnare lo stesso nome a cose fondamentalmente diverse) o semplicemente una triste furbata pubblicitaria?
gian paolo

Francesco ha detto...

Caro Giampaolo, credo che lo slogan in realtà sia tristemente "reale". Nel senso che l'uso delle armi genera delle emozioni forti e i pubblicitari ben lo sanno. Purtroppo. Se così non fosse, sarebbe più facile educare alla nonviolenza. Invece le emozioni accompagnano anche gli atti distruttivi, anzi credo che siano perpetrati spesso proprio per il loro "tornaconto emozionale", più che per altri fini. Ricordiamocene nei prossimi percorsi di educazione alla pace...

Anonimo ha detto...

ho riflettuto molto sulla tua risposta e mi chiedo se tra i compiti educativi della scuola (ovviamente anche della famiglia) non ci sia anche l'insegnare a dare un nome al grumo emotivo di cui siamo composti. lo chiedevo proprio ragionando un pò sulla crisi della scuola e sulla crisi, a mio avviso, anche di un modello educativo meramente nozionistico. forse la mia sarà una domanda un pò da profano, ma mi interesserebbe sapere cosa ne pensi, visto anche l'altra tua idea gemella (ma forse bisognerebbe dire madre) di morphè. un abbraccio
gian paolo