Vi racconto una storia vera, raccolta dalla mia frequentazione del magico mondo delle aziende. Marco lavora nell'Ufficio Risorse Umane di una grande azienda italiana di informatica. Un ingenuo osservatore esterno nota che c'è qualcosa che non va nel modo di lavorare di questa società. Marco, infatti, passa tutta la giornata a parlare prima con un responsabile e poi un un altro, con un capo e poi con il capo del suo capo. Nulla di realmente necessario dal punto di vista operativo, ma solo dal punto di vista "politico" cioè di mantenimento dei giochi di potere aziendali interni; e Marco ne è perfettamente consapevole. Alle 17.30, invece di uscire al termine della sua giornata, Marco si siede alla sua scrivania: "Finalmente ora posso lavorare un po' per bene!" Si concentra sul da fare e resta lì fino alle 20.00. Tutti i giorni. Durante la pausa pranzo, uno degli argomenti preferiti da Marco e dai suoi colleghi è quello di lamentarsi di quanto il lavoro invada la loro sfera privata, di quanto debbano sopportare quelle mogli che li vorrebbero un po' di più in casa. Giorno dopo giorno. Un'altra pausa, un altro caffè, un'altra lamentela. E tutto che resta uguale.
Cosa ci vedete in questa storia? Una azienda cattiva che opprime il dipendente? Una persona "debole" che non sa organizzarsi il lavoro e i tempi rimanendone vittima? Una coppia fragile in cui il lavoro serve per "coprire" un vuoto e avere un agente esterno da incolpare per il tempo che non ci si riesce a dare?
Ci sono tanti Marco e tante aziende che lavorano così: è in questi casi che si aprono le possibilità di sperimentare forme di counseling aziendale. Ad aziende così un serio percorso di counseling può ovviamente fare solo bene. Per la possibilità di ridare a Marco più maturità umana e professionale. Per la possibilità di dare all'azienda una risorsa più "produttiva" e motivata". Per la possibilità di dare maggior armonia all'equilibrio tra lavoro e vita privata.
Se incontrate Marco, ditegli di visitare questo blog!
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1 commento:
Credo che tu non ci abbia dato elementi tali da potere giudicare con sufficiente grado di approssimazione le motivazioni di questa "modalità lavorativa", o forse sono io che non ho letto attentamente la storia di Marco. Io propenderei per un mix di motivazioni. Spesso il lavoro assume una dimensione totalizzante che copre "vuoti" e difficoltà varie, non solo a livello di coppia. Io almeno la penso così. Un abbraccio.
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