26 novembre 2006

L'import-export della convivialità

Incontrarsi, parlare di sé, raccontare le proprie esperienze e ascoltare quelle degli altri. Magari attorno ad una tavola, dove, tra un boccone ed un bicchiere, si cementano vecchie amicizie e se ne creano di nuove. Un'attività bellissima dell'uomo, per me il valore più alto, che ho la fortuna di coltivare ancora ma che non è così "scontato".
Ho avuto il privilegio di crescere in una famiglia "grande" del sud. Venuto "al nord" ho avuto la possibilità di incontrare tanti nuovi amici, ma ho anche sperimentato la difficoltà di un calore umano vissuto come "invadenza". Come far capire a queste persone che avere 260 invitati al proprio matrimonio non è un gesto di megalomania ma di condivisione, di festa allargata? Al di là dei facili luoghi comuni (secondo cui meridionale=espansivo e settentrionale=riservato), mi chiedo: ma non è che oltre ad esportare forza lavoro, il meridione continua ad esportare al nord anche delle "energie sociali"?
Sulla scia di questi pensieri mi imbatto in un amico di amici (meravaiglie della convivialità) che, a quanto pare la pensa come me. Un pescarese, anche lui a Milano per lavoro, che un bel giorno decide di prendere un tavolino e due sedie, di portarle nella centralissima Piazza S. Babila e di offrire "Due chiacchiere gratis", a chi vuole parlare un po'. Riscoprire i contatti umani, la forza dell'incontro, la qualità delle relazioni. Non vanno idealizzate, per carità: sono molto faticose da gestire con cordialità sincera e duratura. Ma c'è qualcosa di più "significativo"?

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