21 novembre 2013

A mia figlia (di Margaret Mead)

Che io non sia inquieto fantasma
ossessivo dietro l'andare dei tuoi passi,
oltre il punto in cui mi hai lasciata

ferma in piedi nell'alba appena spuntata.
 

Devi essere libera di prendere un sentiero
la cui fine io non senta il bisogno di conoscere,
non ansia molesta di certezza

che tu sia andata dove io volevo.
 

Quelli che lo facessero cingono il futuro
tra due muri di ben disposte pietre,
ma segnano un cammino spettrale per sé stessi,

un arido cammino per ossa polverose.
 

Puoi dunque andartene senza rimpianto
lontano da questa terra familiare
lasciandomi un tuo bacio sui capelli

e tutto il tuo futuro nelle tue mani.
 

(Margareth Mead)

07 novembre 2013

Fintolandia

C'era una volta, tanto tempo fa, un paese lontano lontano chiamato Fintolandia.

Era davvero uno stano paese, i cui strani abitanti facevano tutte le cose per finta.

A Fintolandia era più importante far credere agli altri di aver fatto qualcosa anziché averla fatta. Ma questo non era un problema, perché anche chi doveva controllare che le cose fossero state fatte, controllava per finta. E nessuno diceva: “Ma guarda che lo so che hai fatto finta”; si preferiva fare finta di crederci pur sapendo benissimo che era una finzione.

Solo i bambini, appena nati, facevano le cose sul serio. Ma poi imparavano presto a fare finta anche loro. Infatti venivano accolti in famiglie di facciata, da genitori che dedicavano loro tempo vuoto e attenzioni posticce. I figli capivano subito, con il loro intuito, come funzionavano le cose, così si adeguavano e, di conseguenza, non crescevano: facevano solo finta di crescere.

I ragazzi fintolandesi venivano mandati in scuole con piani didattici inconsistenti dove gli insegnanti facevano finta di insegnare e gli alunni facevano finta di studiare. I diplomi e le lauree di Fintolandia erano pezzi di carta inutili che certificavano competenze inesistenti in persone ignoranti.

Terminata la scuola, si faceva finta di cercare lavoro. Ma a volte le cose non andavano proprio così, il meccanismo si inceppava e qualcuno finiva per trovare realmente un lavoro. Per fortuna che non era un lavoro vero! Infatti la regola non era lavorare, ma solo far credere agli altri di lavorare. I manager non decidevano e non organizzavano nulla, pur producendo montagne di carte, dati, file. I loro collaboratori facevano finta di seguire le loro direttive, ma non si sentivano in colpa, considerato il fatto che anche la retribuzione era fittizia. I bilanci aziendali, neanche a dirlo, erano truccati. E gli obiettivi erano volutamente falsati per eccesso; i collaboratori lo sapevano e quindi non li raggiungevano, giocando al ribasso. Così i manager li gonfiavano ancora di più, e così via... La legge del far finta era veramente ovunque. Nessuno, ad esempio, credeva realmente che le convention aziendali servissero a qualcosa. Ma i dipendenti ci andavano lo stesso facendo finta di gradire un evento che gli stessi organizzatori ritenevano una gran perdita di tempo. Ma intanto si guardavano bene dal dirlo e la organizzavano lo stesso.

A Fintolandia, le fabbriche, le scuole, gli uffici, i palazzi erano fatti con fogli di carta verniciati di cemento. Erano state costruiti da aziende fantasma, sotto la supervisione di addetti alla sicurezza che facevano finta di non accorgersi che i i loro operai non rispettavano le regole di sicurezza sul lavoro. I piani di evacuazione restavano sulla carta. Gli estintori erano vuoti.

Come avrete capito, ogni cosa di Fintolandia era fasulla. Anche i medici facevano finta di curare e di credere nella bontà dei medicinali somministrati a malati che simulavano dei miglioramenti.

Erano finte le squadre di calcio e gli scudetti. E i tifosi facevano finta di non vedere che le partite erano truccate. Sedicenti artisti intrattenevano la popolazione con spettacoli insulsi. E chi ci andava batteva le mani e diceva “Che bello” oppure “Bah! Potevano fare di meglio” perché quella era la propria parte da recitare.
Le coppie facevano finta di essere fedeli, di essere serene e di avere una vita sessuale soddisfacente. Del resto erano persone che avevano celebrato matrimoni nulli attorniate da invitati che simulavano gioia per essere stati invitati.
Quando qualcosa sembrava turbare la pace sociale, la popolazione reagiva con ondate di sdegno inconsistente che i governanti avevano buon gioco di placare varando l'ennesima legge che nessuno avrebbe mai applicato né osservato.

Come si poteva sopravvivere in un paese del genere? Semplice: bastava stare al gioco, e far finta di credere che tutto fosse vero.

Ogni tanto qualcuno provava a dire la verità, a fare le cose per bene e a chiedere che anche gli altri facessero lo stesso. Ma siccome tutti pensavano che stessero facendo finta, nessuno li prendeva sul serio. Così queste persone si convincevano di essere nel torto e si adeguavano, oppure finivano per impazzire.

A Fintolandia, quando la morte arrivò nessuno se ne accorse, perché pensavano di morire per finta.

Come dite? È una brutta storia? Avete ragione, quasi quasi la butto via.

Anzi facciamo così: io faccio finta di non averla mai scritta e voi fate finta di non averla mai letta.