
Sulla differenza più antica del mondo (uomini/donne) è stato detto tanto; di fatto è l'Argomento per eccellenza. E tutti, infatti, ne parliamo, non fosse altro che per riderci su, come fanno i comici di Zelig o i tormentoni via internet (di cui pubblico una divertente immagine come esempio).
Parlare di uomini e donne e delle loro differenze è un campo minato perché tocchiamo uno dei nodi più profondi della nostra identità. Ci stanno dentro aspetti biologici, culturali, educativi, psicologici, ...
Che femmine e maschi siano diversi è, grazie a Dio, una verità biologica. Dalle femministe più accese ai religiosi più conservatori, la differenza tra i sessi è sottolineata in maniera radicale per i motivi più diversi. Ed è ormai accettato da (quasi) tutti che la differenza biologica non può essere "neutra": avere o non avere un corpo che segue dei cicli e che si modifica al punto di accogliere un'altra creatura cui dà vita e nutrimento, è un fatto che certamente influisce sulla psiche, il modo di veder il mondo e di pensare. Ma appena si esce dall'ambito della fisologia, provando a "definire" in qualche maniera universale questa differenza e ci si addentra in questioni di identità, di cosa un uomo o una donna "dovrebbero" essere, entriamo in un campo minato e in ogni definizione sento puzza di bruciato. Così, ogni volta che sento dire frasi del tipo "è attenta alle emozioni come solo una donna sa essere" oppure "con il pragmatismo che è tipico degli uomini", entro in allarme, perché sento puzza di un luogo comune dietro l'angolo. O, ancora peggio, di una strumentalizzazione. Comunque di una limitazione del modo di essere dei concreti uomini e donne che calcano la scena di questo pianeta. Andiamo avanti con l'esempio preso da un classico luogo comune culturale: "L'uomo è forte, la donna sensibile". Generazioni cresciute a colpi di questa definizione semplicistica, ed eccoci davanti a generazioni di maschi che non si concendono il permesso di provare emozioni (perché piangere "è roba da femminucce", perché l'uomo "non deve chiedere mai"), e a donne considerate "mascoline" perché autonome e decise. Mi sembra evidente che ogni volta che diciamo che una donna dovrebbe essere sensibile "in quanto donna" stiamo dando un giudizio di condanna a tutte quelle donne che, dimostrando una maggior forza sono da considerarsi di fatto "un po' meno donne"; così come ogni volta che diciamo che un uomo vero è quello che segue la politica, stiamo dicendo, di fatto, che chi non la segue è "un po' meno maschio". Che il suo modo di essere non va bene: stiamo sacrificando la persona reale all'idea di ciò che "dovrebbbe essere".
Ovviamente tutto questo ha poi un riflesso sui ruoli di coppia, per non parlare del riflesso sulla vita della famiglia e sui ruoli educativi (ma di questo parleremo in un altro post).
La mia proposta? Pensare ad una persona nella sua completezza, per ciò che è (quindi compresa la sua identità sessuale biologica), ma non per come "dovrebbe essere" rispetto ad una qualsiasi presunta codificazione di ruoli sessuali "universali". Andando nel pratico, quindi, in una coppia, dividersi gli incarichi di casa e lavoro dovrebbe essere una elaborazione fatta in due, consapevolmente, frutto delle possibilità, delle capacità, magari anche delle abitudini, ma non del fatto che le donne hanno scritto nel dna come lavare i piatti, mentre gli uomini avrebbero scritto nel dna di non passare l'aspirapolvere o di stirare.
A questo punto, assalito dai sensi di colpa per mia moglie che stira mentre io faccio l'intellettualoide su internet,
non mi resta che chiedere: voi che ne pensate?
PS: Care lettrici del blog, è vero l'ho tirata per le lunghe... ma gli auguri ve li faccio lo stesso!
Parlare di uomini e donne e delle loro differenze è un campo minato perché tocchiamo uno dei nodi più profondi della nostra identità. Ci stanno dentro aspetti biologici, culturali, educativi, psicologici, ...
Che femmine e maschi siano diversi è, grazie a Dio, una verità biologica. Dalle femministe più accese ai religiosi più conservatori, la differenza tra i sessi è sottolineata in maniera radicale per i motivi più diversi. Ed è ormai accettato da (quasi) tutti che la differenza biologica non può essere "neutra": avere o non avere un corpo che segue dei cicli e che si modifica al punto di accogliere un'altra creatura cui dà vita e nutrimento, è un fatto che certamente influisce sulla psiche, il modo di veder il mondo e di pensare. Ma appena si esce dall'ambito della fisologia, provando a "definire" in qualche maniera universale questa differenza e ci si addentra in questioni di identità, di cosa un uomo o una donna "dovrebbero" essere, entriamo in un campo minato e in ogni definizione sento puzza di bruciato. Così, ogni volta che sento dire frasi del tipo "è attenta alle emozioni come solo una donna sa essere" oppure "con il pragmatismo che è tipico degli uomini", entro in allarme, perché sento puzza di un luogo comune dietro l'angolo. O, ancora peggio, di una strumentalizzazione. Comunque di una limitazione del modo di essere dei concreti uomini e donne che calcano la scena di questo pianeta. Andiamo avanti con l'esempio preso da un classico luogo comune culturale: "L'uomo è forte, la donna sensibile". Generazioni cresciute a colpi di questa definizione semplicistica, ed eccoci davanti a generazioni di maschi che non si concendono il permesso di provare emozioni (perché piangere "è roba da femminucce", perché l'uomo "non deve chiedere mai"), e a donne considerate "mascoline" perché autonome e decise. Mi sembra evidente che ogni volta che diciamo che una donna dovrebbe essere sensibile "in quanto donna" stiamo dando un giudizio di condanna a tutte quelle donne che, dimostrando una maggior forza sono da considerarsi di fatto "un po' meno donne"; così come ogni volta che diciamo che un uomo vero è quello che segue la politica, stiamo dicendo, di fatto, che chi non la segue è "un po' meno maschio". Che il suo modo di essere non va bene: stiamo sacrificando la persona reale all'idea di ciò che "dovrebbbe essere".
Ovviamente tutto questo ha poi un riflesso sui ruoli di coppia, per non parlare del riflesso sulla vita della famiglia e sui ruoli educativi (ma di questo parleremo in un altro post).
La mia proposta? Pensare ad una persona nella sua completezza, per ciò che è (quindi compresa la sua identità sessuale biologica), ma non per come "dovrebbe essere" rispetto ad una qualsiasi presunta codificazione di ruoli sessuali "universali". Andando nel pratico, quindi, in una coppia, dividersi gli incarichi di casa e lavoro dovrebbe essere una elaborazione fatta in due, consapevolmente, frutto delle possibilità, delle capacità, magari anche delle abitudini, ma non del fatto che le donne hanno scritto nel dna come lavare i piatti, mentre gli uomini avrebbero scritto nel dna di non passare l'aspirapolvere o di stirare.
A questo punto, assalito dai sensi di colpa per mia moglie che stira mentre io faccio l'intellettualoide su internet,
non mi resta che chiedere: voi che ne pensate?
PS: Care lettrici del blog, è vero l'ho tirata per le lunghe... ma gli auguri ve li faccio lo stesso!